Con-divisioni
Duilio Corgnalio in "Safet Zec, Con-divisioni", published
by l'Abbazia di Rosazzo, 2001.
Presidente della Fondazione Abbazia di Rosazzo-Manzano
“Banalità e crudeltà vanno di pari passo, sono due estremi
che coincidono. Si può dire che la banalità è quanto
di più crudele che ci sia, perché finisce per sterminare
il senso e il destino”. Così J. Baudrillard descrive la condizione
del presente, sedotto dalla banalità assoluta, attratto dal precipizio
dell'annientamento progressivo del mondo reale, dedito alla liquidazione
della seduzione, del simbolo e dell'ironia. Disfacimento del tutto e
funzionamento del nulla, l'esito di quest'esercizio della banalità.
I Balcani, alla fine di questo secolo, breve quanto crudele, si ergono come
parabola del presente. Crogiulo di popoli, lingue e culture. Luogo d'incontri
e di scontri. Momento di abbraccio e deflagrazione tra morte e vita. Tempo
di memoria e di smemoratezza di un'Europa distratta e deconcentrata. Sarajevo,
la cifra di questo disordine di senso, ma anche di nostalgia del con-vivere
di uomini e donne, di etnie, lingue, tradizioni, culture e religioni. Luogo
per eccellenza di con-fini. Differenza e con-taminazione, alterità e
con-divisione, con-trasto e co-munione. E a Sarajevo, anche a Mostar e a Visegrad,
non soltanto fiumi che dividono, ma anche ponti che uniscono. I ponti distrutti
dalla furia del nulla.
Lo diceva alla cerimonia della consegna del Premio Nobel l'unico autore jugoslavo
ad averlo vinto, il bosniaco Ivo Andric: “I ponti uniscono i popoli”.
Non tanto i ponti di ferro, ma soprattutto quelli spirituali. I ponti dell'arte,
anzitutto, quella parola che viene prima e sta al fondo di ogni altra parola,
via che consente all'uomo di camminare libero verso il mistero (Giovanni Paolo
II). Ciò per cui F. Dostoevskij afferma- va: “La bellezza salverà il
mondo”.
La Fondazione Abbazia di Rosazzo ha da tempo intrapreso, tra le altre iniziative
un itinerario intitolato “Arte da credere”. Arte come indizio di riscatto dalla
banalità, come cultura dello spirito, come segno di con-traddizione
ma anche disvelarnento di senso.
Dopo la rnostra dell'artista friulano Arrigo Poz, che ha consentito di ripercorrere
la tensione culturale e spirituale di questi ultimi cinquant'anni di Friuli,
ora viene proposta questa esposizione di Safet Zec, figlio purissimo dei Balcani,
un artista affermato in Europa e negli Stati Uniti. Felicemente “interrato” nel
deserto borgo medievale di Pocitelj e inculturato nel caleidoscopio di Sarajevo, è stato
scaraventato dalla deflagrazione bellica in “Occidente”. E' approdato in Friuli,
in quest'altra terra per antonomasia di con-fine di con-divisione, qui ha trapiantato
casa, qui ha ricominciato l'arte, con nuovi accenti e stilemi di speranza.
La rnostra viene allestita nell'Abbazia di Rosazzo, anch'essa lacerto friulano
di incontri e scontri, postazione spirituale e culturale di significato europeo,
luogo di coltivazione della memoria, il solo presupposto per una fuga dalla
banalità. Rosazzo deriva il suo nome da una rosa selvatica che fiorisce
anche d'inverno. Cos l'arte di Zec, un fiore nell'inverno delle passioni distruttrici.
Ponti, case, finestre e chiome d'alberi sono molti i soggetti interpretati
magistralmente da Zec. A dire la ricerca ordinatrice dell'arte di contro al
disordine della vita, a tener desta la memoria fra le rovine del presente.
E il pane su tavolo, approdo di con-divisione, dopo i barattoli grondanti tragedia.
E le mani per il pane, protese e intrecciate in tensione d'incontro e di libertà.
Con-divisioni. Non dunque separatezza, ma sopra tutto ansia di com-partecipazione,
di umanità con-divisa. Alfine, nostalgia dell'Altro.
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